I calcolatori elettronici sono nati negli anni 40 del secolo scorso, e si sono evoluti diventando sempre più potenti, grazie alle nuove invenzioni nel campo dell’elettronica.
Il primo calcolatore era basato sulla valvola termoionica,
ed era detto di prima generazione. Negli anni ’60, grazie all’invenzione del transistor, sono nati i calcolatori di seconda generazione, più piccoli, economici e veloci dei precedenti. Poi negli anni ’70, con i circuiti integrati e negli anni ’80 con i chip si sono avute la terza e la quarta generazione di computer: veloci, affidabili, economici, di piccole dimensioni. Da allora non ci sono state nuove generazioni. I computer attuali continuano a basarsi sul chip. [In figura la sezione di un chip] |
Da diversi anni è però allo studio una nuova generazione di computer, che saranno centinaia di volte più potenti di quelli attuali, (e per di più assai piccoli e dai consumi bassissimi di energia). Essi si basano sulla nanotecnologia, ossia sulla crescente capacità di manipolare e organizzare la materia a livello atomico e molecolare. Operando a livello nanometrico, ovvero su scala di un miliardesimo di metro, la fisica, la chimica, la biologia e l'ingegneria si ritrovano a utilizzare gli stessi strumenti. Non si può più parlare di una semplice miniaturizzazione, ma di un nuovo capitolo della tecnologia. Che cambierà completamente il volto dei microchip salvando e addirittura superando la legge formulata nel 1965 da Gordon Moore, cofondatore della Intel, secondo il quale il numero di transistor che è possibile concentrare in un chip raddoppia ogni 18 mesi.
Questa teoria che traccia il percorso dello sviluppo tecnologico è ancora valida, tuttavia esistono precisi limiti fisici che rendono impossibile una miniaturizzazione infinita dei processi attuali. L'elettronica come la intendiamo, ha possibilità di sviluppo per altri dieci anni, i transistor non potranno essere più piccoli di 50 nanometri (pensiamo a un capello, che rispetto a un transistor di oggi ha uno spessore 700 volte maggiore). La via d'uscita più promettente da questo vicolo cieco è legata ai nanotubi di carbonio.
La loro storia ha origine nel 1985, quando due scienziati americani e uno inglese ricavarono una molecola a forma di pallone da calcio costituita da 60 atomi di carbonio, vincendo il Nobel per la chimica. Nel 1991 il dottor Iijima, dei laboratori di ricerca della Nec, scoprì in maniera del tutto casuale che era possibile legare queste molecole, facendo assumere alla struttura la forma di un tubo del diametro di pochi nanometri (1 miliardesimo di metro) sigillabile alle estremità. |
Le fibre composte da queste molecole sono cento volte più resistenti dell'acciaio. La loro forma particolarissima trasforma i nanotubi in ottimi veicoli per trasportare sostanze chimiche in specifici punti del corpo umano e in perfetti catalizzatori (nelle celle a combustibile). Ma soprattutto è possibile far agire i nanotubi come transistor, di dimensioni 50 mila volta inferiori a quelle di un capello. Insomma, sostituti eccellenti dei dispositivi basati sul silicio. Lo scorso aprile la IBM ha rivelato di aver messo a punto una tecnologia per la costruzione di matrici di transistor basati sui nanotubi.
Eccola, in sintesi: fasci di nanotubi vengono applicati su un disco (wafer) di silicio; con una scarica di tensione altissima vengono bruciati i nanotubi conduttori (che non servono) e mantenuti in vita i nanotubi semiconduttori. Grazie a questo processo, il colosso americano dell'informatica conta di salvare l'impiego del silicio nella produzione di computer e mantenere la validità della legge di Moore oltre il 2010.
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Una sfida che impone di avventurarsi in nuovi campi di ricerca. Molto affascinanti, anche se a uno stadio iniziale, sono gli studi sui computer a base molecolare. In questo caso l'interruttore logico (che consente di conservare l'informazione binaria 0 o 1) è costituito da una molecola, più o meno complessa. Sono stati già condotti esperimenti che dimostrano come i computer molecolari potrebbero risolvere problemi di calcolo complesso e risultare così particolarmente utili, per esempio, nelle operazioni di decifratura. Ma i problemi da superare sono tuttavia immensi e legati soprattutto all'instabilità delle strutture molecolari.
Un altro filone di ricerca: i computer basati sul dna, che potrebbero impiegare le proprietà di ricombinazione del codice genetico.